Storie di pazienti e persone del Meyer

Ilaria e quel gioco in scatola speciale

Ilaria ha 18 anni e vuole diventare maestra di asilo. Per questo, quando si è sentita dire che per un po' non sarebbe più potuta andare a scuola e non avrebbe potuto frequentare il tirocinio per diventarlo, ha sofferto. Come ha sofferto per le ciocche dei suoi amati capelli che cadevano, ha sofferto la febbre e il malessere legati alla chemioterapia. 

Oggi sta bene, ha lo sguardo sereno proiettato in avanti e una grande consapevolezza cresciuta insieme a lei dopo la malattia. Ricorda con precisione matematica la data di ognuno dei suoi ricoveri e quella della diagnosi.

Era luglio e faceva caldo quando i medici del Meyer dettero il nome di “linfoma di Hodgkin” al suo star male.

“Nel pomeriggio feci la biopsia e la sera mi risvegliai in oncoematologia”, ricorda. “Ero incredula, era come se non volessi capire”.

Poi il dialogo con il dottore che da quel giorno la ha accompagnata nel suo percorso al Meyer, il dottor Casini.

“Mi ha spiegato tutto l'iter che avevo davanti, ha risposto alle mie paure”. Poco dopo Ilaria ha cominciato la terapia, affrontando anche una brutta complicazione legata a una infezione intestinale che l'ha portata ad una sepsi, per la quale è stata ricoverata in Terapia Intensiva. “Sono stata ricoverata molte volte, per gli effetti collaterali, e ci sono voluti diversi cicli di chemioterapia”. Ma poi è venuto il giorno di tornare a scuola, quello della risonanza andata bene, quello dei capelli ricresciuti. Ora rimangono i ricordi:

“Oggi quando torno al Meyer sono contenta, e adesso aspetto di fare la maturità per poter diventare volontaria, come ha fatto la mia mamma dopo la mia malattia”.

 Di quel periodo ricorda con grande affetto le infermiere gli infermieri che “sapevano come farti divertire”, il dottor Casini che la chiamava principessa, la Ludoteca, le psicologhe.

E lo Shop talk, il gioco in scatola terapeutico portato in Italia dal Meyer che si usa per aiutare gli adolescenti ad affrontare le emozioni legate ai percorsi oncologici e cronici: “Penso che mi abbia aiutata molto e che sia anche grazie allo Shop talk se oggi riesco a parlare della malattia con grande tranquillità”.

Le pedine, i dadi, le “sue” psicologhe Laura e Francesca fanno parte di una strada che la ha portata ad aprirsi. A vederlo, Shop talk è un normale gioco da tavolo. Ci sono caselle, carte da pescare e dadi da lanciare. Ci sono anche dieci negozi: quello dei vestiti, quello del cibo, quello degli animali. Per poter acquistare un oggetto, bisogna rispondere a una domanda.

Vince, ovviamente, chi acquista più oggetti e, quindi, chi riesce a esprimersi di più. Rispondere alle domande non è ovviamente un obbligo, ma solo un'opportunità: sta ai pazienti decidere se coglierla o meno.

“A ripensarci oggi, penso che la malattia mi abbia aiutata a far uscire il mio carattere. E poi mi ha insegnato a ripetermi spesso, quando mi arrabbio per qualcosa, che 'non è niente'.

Oggi spero che la mia testimonianza possa servire a chi sta vivendo lo stesso percorso”.