Storie di pazienti e persone del Meyer

Kristel e i suoi doppiaggi al Meyer

Kristel ha 11 anni ed è in cura al Meyer per una malattia oncologica ossea. Durante i mesi del ricovero ha partecipato al laboratorio di doppiaggio organizzato nella Teen Room dell'ospedale e ha scoperto di avere una grande passione.

Kristel ha 11 anni e carattere da vendere. Balla, salta da brava ginnasta, canta, suona la chitarra e la tastiera. E sa persino fare i doppiaggi. I doppiaggi? Sì.
Ha imparato a farli a al Meyer, nei lunghi mesi in cui ha dovuto fare su e giù, dall’ospedale a casa e poi da casa all’ospedale, per curare la malattia alle ossa che le è venuta. È proprio in ospedale che ha scoperto di avere questa grande passione. E un talento naturale.
“Quando non stavo male, non ho saltato una lezione – racconta – Anzi: quando non ero ricoverata e dovevo venire qui per qualche esame o per le terapie, insistevo con i dottori perché mi facessero venire il mercoledì, per poter partecipare al laboratorio di doppiaggio”.

In ospedale ho iniziato anche a suonare la chitarra e la tastiera

Questo laboratorio è una delle attività che il Meyer organizza per i suoi pazienti oncologici, nella Teen Room (la “stanza degli adolescenti”) dell’ospedale.  Lì dentro, tra i graffiti che colorano le pareti e aiutano a dimenticarsi dove siamo, una volta a settimana i pazienti del Meyer  che vogliono farlo possono calarsi nei panni dei beniamini del cinema, guidati da un professionista del doppiaggio, Alessandro Bertolucci. Cuffie alle orecchie, copione davanti, lo sguardo allo schermo: per qualche minuto si diventa qualcun altro, anche solo con la voce. E certe volte serve, eccome.
Kristel lo sa bene: l’ultimo, per lei, è stato un anno per niente semplice. Ha dovuto affrontare  un lungo ricovero, diversi cicli di cure e un trapianto di midollo per far ripartire il suo sistema immunitario. Probabilmente se non avesse un temperamento d’acciaio che luccica, come il suo, sarebbe stato tutto più complicato ancora.

Quando dovevo venire al Meyer, insistevo perché fosse di mercoledì per partecipare al laboratorio di doppiaggio

Ha disegnato, ha ballato molto, ha stretto legami con il personale che la segue (“Quante foto gli ho scattato con la mia macchina fotografica!). È nata anche qualche amicizia con gli altri pazienti: “Non ti dico il nome per rispetto della sua privacy, ma abbiamo legato molto con una delle compagne di stanza che ho avuto. E quando facevamo i cicli negli stessi giorni, assillavamo i dottori per stare in stanza insieme e la sera univamo il letto: siamo diventate amiche!”. 

Quando non stavo male, non ho saltato nemmeno una lezione

Si è organizzata: i grandi, questo fatto, lo chiamano resilienza. Le hanno detto di fare salti più piccoli, durante gli esercizi di ginnastica artistica, e lei si è adeguata. Ha dovuto temporaneamente lasciare la scuola, la sua amata quinta b, ma è pronta a ricominciare appena potrà. Nel frattempo, ha architettato con cura il suo tempo al Meyer: “In ospedale ho anche imparato a suonare la chitarra e la tastiera, prendendo gli strumenti dall’Armadio della Musica del reparto”. Che è un altro tassello della cosiddetta “play therapy” del Meyer: anche la musica, come i cani della pet therapy, i clown, il gioco e i libri entrano a far parte della cura. E il sostegno delle psicologhe non manca mai.

Abbiamo fatto amicizia con un’altra paziente: la sera, quando facevamo i cicli insieme, univamo i letti

Tutto questo mentre, poche stanze più in là, una squadra di biologi e oncologi lavora con completa dedizione per mettere a punto cure sempre più efficaci per malattie come quelle di Kristel.
Il Meyer adesso cresce ancora, con il programma triennale Mpiù. Fa spazio alla salute, fa spazio alla ricerca, moltiplica il suo impegno nella cura dei piccoli e dei quasi grandi.
Intanto Kristel sorride dal suo trono nella Teen Room e si prepara a togliersi il cappello.