Storie di pazienti e persone del Meyer

Carlotta e quel medico che l’ha “riaggiustata”

Non ha dubbi Carlotta: il medico che la ha curata “È un mago”. È questa la storia di una bambina di sei anni, decisamente tenace, e di un sospiro di sollievo lungo una vita.

“Cominciamo dalla fine”, suggerisce il suo babbo, Filippo. “È il 15 dicembre del 2016 e smanetto sul mio cellulare per controllare se è arrivata una mail: finalmente, alle 16.45, arriva una mail del dottor Casini che ci dice che l'ultimo controllo di Carlotta è positivo. Carlotta è guarita. Finiscono così due anni di cure che ci hanno catapultato in un mondo terribile e meraviglioso”. Quel giorno - noi ce lo possiamo solo immaginare - sono nati tutti un’altra volta. Si è voltata una pagina dura come il cemento.

Leucemia linfoblastica acuta. È questo il brutto nome del capitolo che per Carlotta (che allora aveva tre anni) e per la sua famiglia è iniziato il 1 dicembre del 2014 e si è concluso con quella mail.

Babbo Filippo lo ricorda così: “Il 1 dicembre del 2014 a Carlotta veniva diagnosticata la LLA (leucemia linfoblastica acuta) e per noi significava vivere per due anni con qualcosa che ti condiziona la vita, che te la cambia. In questo stravolgimento della vita di una famiglia però vi sono due elementi positivi. Il primo è il carattere meraviglioso di mia figlia che ha affrontato la cosa con uno spirito che per una bambina di tre anni è inimmaginabile. Il secondo è il Meyer e la sua eccellenza. Senza i medici e tutto il personale di oncoematologia non sarebbe stato così ‘facile’.

Due anni lasciano il segno e anche Carlotta non li ha dimenticati. Ha il suo ricordo, per fortuna ovattato:

C’era l’infermiere con i baffi che mi faceva ridere e  la dottoressa con i riccioli mi chiamava ‘Fulmine Carlotta’ per come camminavo veloce con l’asta (l’albero della flebo). Una volta ho anche colorato un clown!

Riguardo alla sua malattia che le faceva sentire molto male a una gamba, sapeva che c’erano “dei mattoncini da riaggiustare”. E quando ha visto quanto poco ci ha messo il ‘suo’ dottore a farle passare il male, se ne è convinta: “È un mago”.
“In una prova durissima come è stata la malattia di Carlotta, avere una struttura così efficiente ed efficace ti rende non solo tutto più semplice ma ti dà una fiducia è una forza che non ha eguali” prosegue babbo Filippo. Sorride, nel ricordare che con sua moglie, mamma Marta, ai tempi del ricovero (durato oltre due mesi) scherzavano sul fatto che non riuscivano quasi a stare da soli con la loro bambina, tanta era la premura del personale e dei volontari. “Noi ci sentivamo amati, voluti bene, circondati da immenso affetto – ricorda - Potrei raccontare tantissimi episodi sia sulla preparazione che sull’attaccamento che il personale del Meyer dimostra verso ogni bambino, ma il mio racconto non renderebbe l'idea. Posso solo dire che il loro amore è come l'amore dei genitori. Immenso”. 


La malattia, racconta ancora Filippo, è un gioco dell’oca: non sai mai, fino al controllo dopo, se puoi andare avanti o devi tornare indietro. Nel caso di Carlotta il protocollo prevede che venga ripetuto l’esame del midollo due anni dopo l’esordio della malattia. Se non c’è più traccia delle cellule tumorali si parla di remissione completa. Cosi è stato, per fortuna, e Carlotta adesso guarda avanti.


 “Tra i tanti episodi non posso fare a meno di ricordarne uno che resterà sempre nel mio cuore – conclude babbo Filippo, mentre Carlotta, in braccio a lui, se lo guarda ammirata come volesse mangiarselo -  Era il controllo del midollo del 75esimo giorno e aspettavamo il risultato con grande ansia. Ero in corridoio e vedo arrivare il medico di Carlotta con un foglio in mano che sbandierava come un trofeo. Era il referto. Era positivo. Lo vidi avvicinare e vidi che piangeva. Come me. Ecco qui c'è il Meyer”.