Storie di pazienti e persone del Meyer

Elisa, biologa e paziente del Meyer

È minuta e sorridente, e con i bambini dell’ospedale ci sa molto fare.

Sarà che anche lei, da 30 anni a questa parte, è una paziente del Meyer. Già, perché Elisa, oltre ad essere una biologa molecolare dell’ospedale, da quando è nata è anche una sua paziente: soffre infatti di immunodeficienza. Il suo corpo, cioè, non produce anticorpi e per questo, da quando aveva neppure un anno di vita, necessita di controlli periodici e di una terapia costante a base di infusioni di immunoglobuline. Oggi è una giovane adulta, ma è seguita comunque dal Meyer per quella che si chiama “continuità terapeutica”: come tanti pazienti con malattie croniche che esordiscono quando loro sono piccoli, continua a curarsi al Meyer anche da grande.

Sono contenta perché oggi faccio anche ricerca

Che mestiere avrebbe fatto crescendo, Elisa lo ha deciso alla svelta: “Ho sempre avuto un’attrazione per la scienza – sorride – pensa che la mia tesina delle medie la ho fatta sulla diagnosi genetica delle malattie!”. Come dire: il buongiorno si vede dal mattino.

Per me è una grande onore lavorare con una delle specialiste che mi ha anche curata dalla nascita. È la mia maestra

E infatti, dopo qualche anno e tanti esami, Elisa è diventata una biologa molecolare, con in testa un obiettivo preciso: fare ricerca, spiare dentro il corpo umano per contribuire a trovare risposte e soluzioni. Ci è riuscita: “Da cinque anni lavoro al Meyer, nei laboratori di Immunologia – racconta – Tutto è iniziato per caso, per una sostituzione maternità. Proprio nel reparto dal quale sono seguita da quando sono nata”. E così è accaduto che una degli specialisti che la ha seguita fin dalla nascita, la professoressa Chiara Azzari, oggi sia anche la sua maestra: “Per me è un grande onore, adesso, lavorare con lei: è il mio mentore, da lei ho imparato tantissimo”. 

Ho un'immunodeficienza per la quale sono seguita al Meyer dalla nascita

Figuriamocela così, la nostra Elisa: in un laboratorio dell’ospedale, al buio, con gli occhi immersi dentro un microscopio a fluorescenza dove brillano come stelline i campioni che analizza, i batteri che studia, i virus che monitora. In quel buio, ogni giorno, sono persone come lei che portano, piano piano, un po’ di luce: “Sono contenta perché nel mio lavoro quotidiano, oltre a fare esami di diagnostica, analizzando, ad esempio, provette per trovare malattie autoimmuni nei bambini, riesco a dedicarmi alla ricerca. Lavoro molto sugli screening neonatali (come quelli che oggi consentono di diagnosticare immunodeficienze, come la sua già, a poche ore dalla nascita, ndr) e sulla tipizzazione dello pneumococco, per individuare quali sono i ceppi più aggressivi e valutare come migliorare l’efficacia dei vaccini”, ci racconta.

È anche per fare spazio alle preziose ricerche di specialisti come Elisa, che il Meyer si fa in tre con il piano triennale Mpiu e moltiplica gli ambienti destinati ad ospitare laboratori all’avanguardia.