Semantic Views demo
Schede primarie
Sembrano molto lontani – ma non lo sono per niente – i tempi in cui invece è stata una paziente dell’ospedale. Era il 2011 quando le fu diagnosticato un tumore al plesso brachiale, sul nervo radiale, la “centralina” che comanda il braccio: “Pensavo fossero dolori legati alla mia attività sportiva – racconta – e invece la risonanza magnetica portò a questa diagnosi”.
"Grazie per tutto ciò che avete fatto per me quando avevo 8 anni e mezzo. Adesso ne ho quasi 26 e studio ingegneria. Ero piccola e siete stati in grado di ridarmi la forza, l'energia e la voglia di vivere. Sono una ragazza che disegna molto. Mi piacerebbe un giorno poter venire e lasciare un po’ di disegni per i bambini. Questo l'ho fatto per voi: potete anche pubblicarlo, appenderlo, farne ciò che volete. Grazie mille di tutto."
Clara ha 16 anni e vive il Meyer da quando è nata. Galileo ne ha 4 ed è una medicina che scodinzola.
Clara ha la fibrosi cistica: una malattia genetica che compromette la funzionalità di diversi apparati (soprattutto quello respiratorio e quello digestivo) e che ogni anno la obbliga a ripetuti ricoveri.
In questi dolorosi, necessari, momenti di cura, Galileo fa parte della terapia.
Sarà che anche lei, da 30 anni a questa parte, è una paziente del Meyer. Già, perché Elisa, oltre ad essere una biologa molecolare dell’ospedale, da quando è nata è anche una sua paziente: soffre infatti di immunodeficienza. Il suo corpo, cioè, non produce anticorpi e per questo, da quando aveva neppure un anno di vita, necessita di controlli periodici e di una terapia costante a base di infusioni di immunoglobuline.
Babbo Gaetano ha un toscanissimo accento della Versilia e nel raccontare la storia della sua bambina utilizza le parole con grande cura. A sei anni da quando al Meyer diagnosticarono alla sua Annalisa un’Immunodeficienza Severa Combinata, lui padroneggia i termini medici che la riguardano con la dimestichezza di chi, giocoforza, ha dovuto imparare a comprenderli fino in fondo.
Kristel ha 11 anni e carattere da vendere. Balla, salta da brava ginnasta, canta, suona la chitarra e la tastiera. E sa persino fare i doppiaggi. I doppiaggi? Sì.
Ha imparato a farli a al Meyer, nei lunghi mesi in cui ha dovuto fare su e giù, dall’ospedale a casa e poi da casa all’ospedale, per curare la malattia alle ossa che le è venuta. È proprio in ospedale che ha scoperto di avere questa grande passione. E un talento naturale.
Partono piano, si guardano. Un occhio allo spartito e uno alla maestra Roberta. Le voci morbide, le stesse con le quali nella loro attività quotidiana si rivolgono ai bambini, fanno il resto.
È il T'INcanto, il coro degli operatori del Meyer.
Medici, infermieri e altri operatori dell’ospedale una volta a settimana, nel tempo libero, con tanta passione, si riuniscono per provare insieme
Gli occhi di Maria Teresa sono molto grandi e molto profondi. Sono di quelli a specchio, di quelli che lasciano spiare l’anima, e dentro quell’anima si vede il solco di una ferita.
Suo figlio Ivano è mancato 9 anni fa, dopo aver convissuto per otto con un tumore cerebrale che alla fine lo ha portato via. È stato a lungo curato al Meyer, seguito dal team di neurochirurghi guidato dal dottor Lorenzo Genitori, che con il dottor Federico Mussa e Flavio Giordano lo ha operato più volte.
L’umanità e la passione dei medici sono i ricordi felici di quel periodo
Quanto pesa una briciola? Pamela se lo è chiesto diverse volte. E alla fine ha deciso che quello sarebbe diventato il titolo del suo libro. Pamela ha 31 anni ed è paziente del Meyer da quando ne aveva 4. È qui che tanti anni fa le è stata diagnosticata la Malattia di Pompe, un disordine metabolico a causa del quale l’organismo non riesce a smaltire il glicogeno, la riserva energetica dei muscoli, che si accumula danneggiando il cuore, i muscoli di gambe e braccia e quelli della respirazione.
Poco dopo lo sbarco a Lampedusa ha cominciato a non sentirsi bene
Viene dal Gambia, ed un giorno di due anni fa è arrivato in Italia sbarcando a Lampedusa. Poco dopo ha cominciato a non stare bene e quel malessere, dopo qualche controllo, ha preso il nome di leucemia.
Ci ho messo un po’, ma adesso riesco anche a scherzare con medici e infermieri
Il Meyer diventa più grande.